Omelie di don Marco
Archivio anno 2025
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VI Domenica di Pasqua - 25 maggio 2025
Dimora!
"E’ parso bene allo Spirito santo e a noi non imporvi alcun obbligo…" La chiesa è nata così, senza obblighi né costrizioni ma con una proposta forte e coinvolgente: ama e segui lo Spirito che agisce in te e nella comunità. Ma se ami fino in fondo e segui davvero lo Spirito allora sei legato a Dio e ai fratelli e il loro grido ti tocca il cuore.
Anche il grido degli affamati di Gaza giunge a noi, ci fa star male e ci fa venire la voglia di correre in aiuto; e ci chiediamo: perché tanta cattiveria umana? Perché si giunge a tal punto? Perché ancora odio? Lo Spirito ci aiuti a prenderci sempre più a cuore ogni sofferenza umana.
Nella seconda lettura domina la visione della santa Gerusalemme, che rappresenta la Chiesa nel regno dei cieli: Giovanni dice che questa città non ha bisogno della luce del sole né della luna perché la lampada è l’Agnello: la sua vera luce e forza è la gloria di Dio, la sua presenza, il suo amore. L’invito è anche per noi: la luce vera per la nostra vita è l’Agnello, è il Cristo risorto e vivo nella Chiesa oggi.
Nel Vangelo lo Spirito è annunciato: siamo ancora nell’ultima cena, quando l’ombra del tradimento invade la stanza e il cuore di Gesù e degli apostoli; dopo la gloria annunciata domenica scorsa, oggi gli apostoli sono ancora più sconcertati. Avvertono qualcosa di tetro, di oscuro, un presagio di morte, ma Gesù annuncia il dono dello Spirito che sarà sempre con loro. Il Consolatore, l’avvocato difensore, lo sentiranno dentro, nel cuore, suggerirà come vivere, quali parole dire: basta cercarlo, riconoscerlo e lasciarsi invadere. La Chiesa non si appartiene più, ma parla, agisce, vive in nome di un Altro, dello Sposo che da la vita per la sposa!
Impareranno che lo Spirito avrebbe reso Gesù ancor più vivo, più presente come l’amico più vicino, come un fratello, una sorella che condivide gioie e speranza, fatiche e dolori. Tocca ad ogni credente custodirlo nel cuore, pregarlo, chiedere consiglio, amarlo e testimoniarlo sempre.
Dal Cenacolo dell’ultima cena al cenacolo del cuore dove lo Spirito parla e suggerisce: la nostra coscienza da ascoltare ad occhi chiusi, nel silenzio, nella preghiera. Prima ancora della legge, di ogni legge, c’è la nostra coscienza: lì lo Spirito ci consiglia e ci rinnova. L’importante è ascoltare, lasciarci guidare, saper distinguere il bene dal male, saper capire se un’ idea deriva dal mio egoismo o da Dio, dalla sua Parola.
"Custodite lo Spirito nel cuore, ascoltatelo e sarete liberi, liberi di amare, di vivere, liberi dal male, dal vostro peccato, liberi da ogni falsità e ingiustizia, liberi dalle cose che chiudono il cuore, liberi di andare avanti, seminando gioia e speranza" dice Gesù ai suoi.
Gesù chiede ai discepoli e a noi non di compiere dei riti, delle preghiere, di celebrare tante Messe: ci chiede di lasciarci amare come domenica scorsa, ci chiede di fare gli innamorati dello Spirito, ci chiede di sentire il desiderio, il bisogno della sua Parola e diventare uomini nuovi, persone nuove.
Dio non si merita, né si conquista: si ospita, si accoglie; come la primavera. Non decidi tu come e quando viene: devi solo aspettarla, desiderarla e gioire quando arriva. Così lo Spirito santo: invocalo, cercalo, accoglilo, lascia che fiorisca in te e tutta la tua vita sprigionerà la sua forza e la sua pace.
"Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il padre mio lo amerà e prenderemo dimora presso di lui": stupendo questo ‘prendere dimora’. Da l’idea del ritorno a casa dopo giorni di fatica e lavoro lontano, da l’idea del rifugio in montagna che ti accoglie durante una grandinata e una bufera, da l’idea dell’intimità di alcuni amici che si incontrano in casa prima di Natale mentre fuori nevica a dirsi come è bello stare insieme, da l’idea di una mamma che sente germogliare in sé una nuova vita .
Lo Spirito dimora in te, in me, nella Chiesa, per regalarci Dio, la sua carezza, il suo caldo abbraccio mentre il tuo cuore è nel gelo.
O Spirito di vita, ricordaci l’amore del Padre, ricordaci quanto lui ci ama, ricordaci il tuo amore di madre e di padre, ricordaci che le nostre radici affondano in te e i nostri rami sono protesi verso il cielo, verso di te. Ricordaci il tuo soffio di vita che promana da te e ci affascina: fa’ che fuggiamo le tante voci del mondo che ci rendono più egoisti e avidi, ma insegnaci che c’è più gioia nel dare che nel ricevere, più gioia nel servire che nell’essere serviti, più gioia nell’ amare che nel chiudere il cuore. Insegnaci che il tuo respiro ci fa sentire ancor più amati, più liberi, più nuovi, più donne e uomini capaci di abitare questo mondo trasformando ogni male in un vero bene.
V Domenica di Pasqua - 18 maggio 2025
Amati, senza misura!
Amati, questa era la carta di identità dei discepoli: amati, non capaci o desiderosi di amare, ma amati! Questa la nostra carta di identità oggi e sempre: amati. Anche se noi pensiamo piuttosto ad amare gli altri, crediamo di essere protagonisti noi, crediamo che tutto parta da noi, dalle nostre belle intenzioni. Giuste, buone, ma parziali, frammentarie, deboli e spesso interessate, nel senso che amo l’altro finché lui mi ricambia e finché lui se lo merita: altrimenti mi fermo e dico: 'Non è più come prima, è cambiato tutto e finisce il mio amore'.
Invece se ci rendiamo conto che tutto parte dall’alto, da Dio, allora le cose cambiano: devo solo lasciarmi amare, ricevere, aprire le braccia! Tutto qui? Non devo fare niente? Solo ricevere?
Certo! Ma se ricevi pienamente e ti lasci invadere dall’amore, allora la tua vita non rimane più la stessa: inizi anche tu ad amare senza misura, senza i tuoi calcoli, senza i miei interessi. Se hai incontrato l’Amore, vivi di amore e tutte le tue scelte nascono da lì e portano dentro la cifra, l’impronta dell’amore. “Ama e fa’quello che vuoi”, diceva sant’Agostino.
Che gusto, che sapore ha la tua vita? Che stile ha? Che profumo emana dal tuo volto, dalla tua storia? Sei capace di distruggere il male che ti colpisce e trasformarlo in bene? Lasci che quell’amore ti trasformi dentro, tiri fuori il meglio di te? Sei capace di attingere sempre alla fonte dell’amore ogni volta che qualche seme di male entra nel tuo giardino e infetta tutto, ogni volta che un virus pericoloso entra nel tuo organismo, sei capace di neutralizzarlo ed eliminarlo e non trasmetterlo agli altri? Sei capace di non arrenderti e di ricominciare, di lasciarti rinnovare da quelle parole: ‘Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri’. E’ un comando: è come quando la nave sta naufragando; se vuoi salvarti attaccati al salvagente. E’ la tua salvezza, non un obbligo, è l’unico modo per salvarti dalla morte certa.
Ancor più significativo il fatto che Gesù parli di gloria, di glorificazione: ‘Ora il figlio dell’uomo è stato glorificato e Dio è stato glorificato in lui’. Ma Gesù dice questo durante l’ultima cena, proprio quando Giuda sta per tradirlo, dopo aver mangiato nello stesso piatto! Ma come? Proprio quando un amico sta per tradirti, per consegnarti, per volerti morto, Gesù proclama che quella è la gloria! Perché? Ai nostri occhi questo è assurdo, incomprensibile, disumano!
E’ come se un artista avesse preparato per anni quel concerto o un allenatore avesse lavorato duro per mesi con la squadra, o un imprenditore avesse investito tutti i suoi guadagni nella azienda e proprio nel momento decisivo, gli altri artisti ti piantano in asso, i giocatori si fingono ammalati, i dipendenti di quella azienda fanno sciopero e si ribellano. E quella è la gloria? Quello è il successo?
Gesù usa un altro linguaggio, un’altra vita, un altro pensiero; come se dicesse: ‘Non guardare al risultato umano, non pretendere che tutto entri nei tuoi piani, non cercare di mettere al centro la tua opera, i tuoi progetti. Lasciati solo amare, il resto non conta. Anche quando le cose non vanno come vuoi tu, ricorda che il vero risultato è un altro: Dio opera sempre e comunque, anche quando i tuoi schemi saltano! E per fortuna saltano.
Lascia che Dio porti avanti la storia, non sei tu con i tuoi piani a decidere le sorti .
O Dio glorificato non dai nostri successi, progetti, affari ma dal fare la tua volontà: troppo spesso ci sentiamo onnipotenti e crediamo che tutto dipenda da noi. ‘Quando sono debole, è allora che sono forte’ ci insegna san Paolo. Solo tu, vera gloria, dai a noi la tua gloria se ci lasciamo amare e ci lasciamo trasformare da te.
IV Domenica di Pasqua - 11 maggio 2025
Nessuno le strapperà!
‘Noi ci rivolgiamo ai pagani’ dice Paolo nella sinagoga di Antiochia davanti agli ebrei che rifiutano la bella notizia; prima abbiamo annunciato a voi ma poiché voi ci rifiutate, allora andremo dai pagani, dagli adoratori degli dei. Se si chiude una porta, se ne aprono altre. Così è nato il cristianesimo, con le porte chiuse degli ebrei osservanti che hanno costretto gli apostoli ad allargare gli orizzonti e a guardare altrove.
Accade così anche nel nostro mondo: tante porte si chiudono, tanti rifiuti, tanti no, non mi interessa, non ho tempo. Tanti presunti cristiani girano l’angolo e sono lontani dalla fede e dal Vangelo. Non nascondiamoci dietro un dito: il nostro mondo occidentale ha girato pagina e ha chiuso le porte in faccia al Risorto. Allora cerchiamo altrove! Basta cercare, basta gettare le reti dalla parte destra, basta non scoraggiarsi ma restare sempre fedeli a questo Vangelo, alla presenza viva di Gesù.
Nel Giubileo queste porte si aprono, anzi si spalancano per dire a tutti che la Chiesa accoglie tutti, rinnova il perdono e l’abbraccio di Dio all’umanità.
Il nuovo papa Leone ci annuncia una Pace disarmata e disarmante: pace che vuol dire lottare contro chi non vuole la pace. Ma lottare con le armi della fede, della preghiera, del Vangelo. Non chiediamoci chi è questo papa, come è, se è come Francesco o no: chiediamoci quanto io sono disposto a seguirlo, ad ascoltare la sua voce, chiediamoci se siamo più pastori o mercenari e se siamo pecore docili che rispondono con generosità alla sua chiamata.
Nei nostri luoghi comuni essere pecore o pecoroni non suona bene: da l’idea di massa, di non avere identità, di seguire senza pensare e senza avere una propria idea. Niente di tutto questo nel Vangelo; piuttosto la fiducia in quella voce calda, decisa, autorevole (non autoritaria). Le pecore si fidano, ascoltano, seguono anche quando non ne hanno voglia o il sentiero è in salita, si fidano perché hanno capito che dietro a quel pastore c’è la salvezza, c’è la sicurezza, c’è l’ovile che ti accoglie, c’è la vita.
Altrove ci sono solo mercenari e lupi: chi sia il peggiore è difficile da dire! Certo il mercenario si presenta bene, adesca, magari è convincente ma arriva fino a un certo punto e poi ti abbandona in balia dei lupi.
Invece il pastore ti tiene in mano e ‘nessuno le strapperà dalla mia mano’: anche il Padre tiene per mano le pecore e nessuno le può strappare dalla mano del Padre. Perché loro danno la vita per le pecore, anzi, danno loro la vita eterna, meglio ancora!
Padre Figlio e Spirito, una cosa sola per amare e salvare le pecore: il problema è che noi preferiamo qualche simpatico mercenario che ci promette felicità e pace ma ci da solo tristezza e discordia. Il problema è che abbandoniamo il gregge della Chiesa, o pensiamo di non averne bisogno o crediamo che ci tolga la libertà e scappiamo via come il figlio della parabola, magari sbattendo la porta. Ma il pastore non si dimentica di chi scappa via, non si perde d’animo, tiene la mano sempre aperta e la porta spalancata attendendo un cenno nostro, una richiesta di aiuto, aspettando un ritorno.
Come un buon educatore non smette mai di cercare i suoi ragazzi e li conosce uno per uno: basta un messaggio, un saluto, un ‘Ciao come stai? Quanto tempo che non ti vedo…’ tempo fa ho incontrato una insegnante che faceva studiare un ragazzo al pomeriggio, fuori dell’orario scolastico, gratuitamente e mi diceva: ‘Se potessi lo farei venire a casa mia in accordo con la famiglia, non solo per i compiti ma per stargli vicino, tirar fuori il meglio di lui, per offrirgli ciò che gli manca, per cucire un abito prezioso con la stoffa che è lui’.
Ecco, il pastore, come un buon genitore o educatore non solo non molla la presa ma è pronto ad accogliere, a tirar fuori il meglio, a dare speranza e futuro, ad aspettare ancora il ritorno della pecora e il nostro!
La Giornata delle vocazioni ci faccia venire la voglia di continuare a seguire questo pastore, la sua voce, la sua parola nuova, diversa, forte e a diventare noi, a nostra volta, pastori che si prendono cura di tanti amici.
O Signore, vero pastore, tu continui a chiamarci per nome, segui le vicende della nostra vita, ci tieni per mano anche quando qualche lupo vuol portarci via. Fa’ che ci fidiamo e ci affidiamo sempre più a te: tu solo hai parole di vita eterna, strade, voce che ci fanno davvero sentire che ci ami senza misura.
III Domenica di Pasqua - 4 maggio 2025
Solo l'amore è credibile
"Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini". Così un Pietro nuovo, rinnovato dalla fede nel risorto risponde al sommo sacerdote. Obbedire a Dio anche quando chiede qualcosa che si oppone alle scelte umane, alla logica umana, al nostro buon senso.
"Io vado a pescare". Il Vangelo di Giovanni ci porta sul lago di Tiberiade, dove tutto è iniziato, con quelle reti che Pietro aveva abbandonato tre anni prima per seguire il Maestro; e che ora riprende affranto, amareggiato, deluso: deluso da Gesù che proprio sul più bello aveva iniziato a parlare di morte, di tradimenti che sono arrivati davvero; deluso anche da se stesso che in quella notte aveva detto di non conoscerlo, ed era vero perché non riconosceva più il Maestro degli inizi. Riprendere le reti significava dichiarare sconfitta, ritornare indietro, dimenticare tutto ciò che c’è stato e quella storia di Gesù iniziata bene, ma finita male. "E’ tempo di essere concreti, con i piedi per terra, basta queste avventure campate in aria" pensava Pietro. E così pensiamo anche noi quando qualche 'storia' ci coinvolge nel profondo, anima e corpo, ma poi avviene quella difficoltà, quella crisi e tutto si blocca, non ci capiamo più niente e tutto ci crolla addosso. E' crollato il mondo che Pietro si era costruito!
"Figlioli non avete nulla da mangiare?" "Ma come non vedi le reti vuote? Non c’è da mangiare per noi, vuoi che ne diamo a lui?" In realtà lui si prende cura, si preoccupa ogni volta che qualcosa non va per il verso giusto, ogni volta che la vita ci mette al palo.
Gesù non è indifferente ad ogni nostro fallimento; lui non getta la spugna ma riparte. Si affianca, li raggiunge come a Emmaus e li attende al varco su quella spiaggia, con quelle reti, con quella barca vuota come il cuore di Pietro, vuoto, pesante, incapace di rialzarsi.
"Getta le reti Pietro" provaci , fidati. "Ma cosa vuole questo qui? Chi è? Perché mi chiede di provarci ancora?"
E la rete si riempie come il loro cuore e improvvisamente un dubbio, una luce si accende in quel buio, una speranza: "Ma allora è Lui, sei tu?" I 7 lo pensano, ma nessuno ha il coraggio di dirlo agli altri. Solo Giovanni, l’amato, lo riconosce e grida la sua gioia! Non sono le reti piene a far capire a Giovanni che quello era Gesù, ma il fatto che lui si prende cura di loro, li cerca, sta accanto e li ama ancora e sempre.
Non fa prediche il risorto, non vuol dimostrare che esiste la resurrezione ma ricomincia, li cerca, li ama ancor di più! E prepara un banchetto, li invita ancora a cena come quella volta in cui aveva lavato i piedi.
E infine quella domanda a Simon Pietro, domanda che brucia sulla pelle che lo inchioda nella sua povertà e miseria: "Simone mi ami tu più di costoro?"
“Signore non riesco ancora perdonami: ti voglio bene, lo sai”
"Simone mi ami? Ricordati che io ti ho amato da sempre soprattutto in croce, soprattutto quando tu mi hai dimenticato".
"Basta maestro non ce la faccio, ti voglio bene. E’ troppo grande la mia colpa che mi inchioda a terra!"
"Simone almeno mi vuoi bene ? Ti conosco Pietro, mi amerai un giorno, quando qualcuno ti porterà dove tu non vuoi".
"Ti voglio bene maestro come non ho mai voluto bene a nessuno al mondo".
E tutto ricomincia da quel "mi ami": domanda che Gesù pone a me e a te oggi. Almeno mi vuoi bene? Sta tutto qui il Vangelo, non in dimostrazioni, non in prodigi, non in lotta contro il demonio ma in quel "Mi ami". Passa tutto da qui, da quanto abbiamo sentito che il suo amore è vivo in me e da quanto lo vivo io verso lui e gli altri.
Sei risorto quando ti lasci trasportare dall’amore, dal perdono che Gesù dona a Pietro e a te, quando vivi con questa gioia nel cuore: ‘solo l’amore è credibile dice un teologo famoso’. Solo un Dio-Amore è credibile oltre ogni ragionevole dubbio.
"Seguimi": se vuoi trovare te stesso e germogliare, seguimi! Ogni giorno, con ogni fratello, quando le reti sono piene o vuote, quando sei felice o triste, quando ami e quando sei capace solo di voler bene. Dio non ti chiede di cambiare: ti ama per quello che sei. Così anche tu ama gli altri per quello che sono.
Inizia anche tu a seguirlo: ne va della tua resurrezione.
Domenica di Pasqua - Risurrezione del Signore - 20 aprile 2025
Risorti per riconoscere il Risorto
‘Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui , è risorto!’ Ancora una volta sentiamo questo annuncio, questa parola. Non è qui!
Già ma ci chiediamo : dov’è? Dove sei Signore?
Questa sera in questa veglia pasquale, cuore della vita della Chiesa, vorrei con voi cercarlo questo Signore, vorrei cercare le sue tracce, vorrei che ci fermassimo anche se siete stanchi per la giornata, o forse delusi, amareggiati per il lavoro che manca o è troppo, per quel parente che non mi guarda più, per quel figlio che “me ne fa passare di tutti i colori”, per quella ferita nella mia vita che non va né su né giù; a che punto è la tua , la mia fede? Quanto mi sostiene e mi guida questa fede nel Risorto?
Forse assomigli a quei discepoli che all’inizio del Vangelo di Marco sul monte della trasfigurazione dicono: "Maestro facciamo 3 tende", stiamo qui sul monte, solo noi: gli altri ci danno fastidio, non capiscono niente. Ecco a volte cerchiamo un po’ di intimità con il Signore o ricordiamo come da bambini andavamo al rosario, a catechismo, al Grest: è stato bello, ma adesso è solo un lontano ricordo. Un Dio da soprammobile, da foto ingiallite appese in casa della nonna. Forse sei ancora là a una fede un po’ sbiadita, un bel ricordo diciamo: ma adesso la vita è un’altra cosa!
Oppure assomigli a Pietro Giacomo Giovanni che potrebbero parlare così tra loro:
"Meravigliosi quei giorni della pesca miracolosa sul lago, la folla sfamata da quel pane in abbondanza e quella chiamata: 'Pietro, Giacomo, Giovanni: viene i seguimi!' Eravamo tutti innamorati di Lui: c’era il Maestro che chiamava a lasciare tutto e diventare pescatori di uomini, e questo ci bastava!" Una fede dei primi momenti come quando hai incontrato quel ragazzo, quella ragazza che ti ha affascinato: ecco siamo stati affascinati anche noi, lo abbiamo seguito, ma quando la vita ti mette alle corde, quando rimani solo, quando non ci capisci più niente, allora molli la presa con un po’ di rimpianto. Come il seme seminato nella sabbia: cresce all’improvviso, germoglia ma poi manca nutrimento, acqua e muore. Ecco forse sei così, forse siamo un po’ così.
O forse assomigli di più non a Giuda il tradito - traditore ma agli apostoli che si addormentano mentre Gesù prega nell’orto degli ulivi, in preda al terrore perché avverte già vicina la sua fine; addormentati di fronte a un Dio che scommette su di te, di fronte a un mondo che ha bisogno di una parola nuova, di un gesto di affetto, di un amico vero, di un compagno di viaggio. Assomigli forse alle ragazze che attendono lo sposo nella notte: ma non hanno più l’olio nella lampada che inevitabilmente si spegne. Sei acceso o sei spento di amore per il tuo Signore e per i fratelli?
Oppure sei ancora all’ingresso del sepolcro, come Pietro che corre con Giovanni ma non entra, sta fuori, ha paura di compromettersi; il mistero ti fa paura anche se ti affascina. Meglio stare alla larga, non compromettersi troppo con questo Gesù, con la Chiesa, con i cristiani: ho la mia vita, i miei progetti, i miei principi. Non faccio del male a nessuno, non chiedermi altro. Va bene così! Una fede da venerdì santo, una fede non ancora risorta, con il freno amano tirato, come un bel fiore che fatica a sbocciare per paura poi di affrontare vento e pioggia.
O forse ci stai. Come donne che corrono al sepolcro il mattino di Pasqua. Come gli apostoli che a Pentecoste escono dal cenacolo e partono senza indugio: non cercano prove della resurrezione, ma a loro basta il ricordo di tutto ciò che aveva fatto e detto Gesù, basta quella tomba vuota, basta tutto l’amore che avevano ricevuto, basta la sua vita donata in croce, e bastano gli sguardi di tutti coloro ai quali hanno annunciato la buona notizia. Ci stai a buttare tutto per aria, a fidarti di questo Dio diverso? Ci stai a credere davvero che è risorto non a parole ma con i fatti, con la tua vita, ci stai a risorgere tu per primo? Ci stai a lavare i piedi come ha fatto Lui, a non pensare ai tuoi diritti, a non metterti al centro ma a diventare tu discepolo, testimone del Signore? Solo chi è già risorto adesso può sentire che Cristo è risorto. La fede non la capisci ma la senti, dentro: come un nuovo amore, come un profumo che ti avvolge all’improvviso, come un abbraccio inatteso e insperato, come quel nemico che si trasforma in amico. Ho letto che gli Ebrei nei campi di concentramento non erano disperati: nelle fessure delle assi delle baracche nascondevano piccoli foglietti come al muro del pianto a Gerusalemme su cui scrivevano: ‘Il Signore non ci abbandona , è fedele per sempre’. A modo loro vivevano di speranza.
Allora buona Pasqua di cuore!
Buona Pasqua a quei 2 genitori che non hanno più la voglia di pregare perché quel figlio fragile ha tolto loro ogni speranza e gioia di vivere: "Cosa sarà quando non ci saremo più noi?" si chiedono. Loro non lo sanno, ma sono già risorti.
Buona Pasqua a quel ragazzo che dice a una mamma: "Fortunata tua figlia ad avere una mamma come te". Parole tristi ma anche ricche di speranza: quel ragazzo diventerà un bravo genitore!
Buona Pasqua a quelle detenute di Napoli che partecipano a un progetto di una cooperativa: 'Un aroma di libertà'. Dal carcere al bistrot per imparare un lavoro e cambiare vita.
Buona Pasqua anche a te. Non fermarti nella tua ricerca, a qualunque punto tu sia arrivato: anche se ti senti lontano non temere. Lui ha vinto il mondo. Parti da questa notte (giorno) per iniziare a risorgere. Lui ti aspetta ad ogni svolta della tua vita per continuare a risorgere con te.
Questo il nostro saluto a Pasqua: il Signore è risorto veramente!
IV Domenica di Quaresima - 30 marzo 2025
Un Vangelo nel Vangelo
Un Vangelo nel Vangelo! Solo questa pagina meriterebbe la nascita della Chiesa, meriterebbe un cammino di conversione dei nostri rapporti, solo un Vangelo così meriterebbe la vita di tanti santi che hanno perdonato, accolto, amato senza misura, come il padre della parabola.
Non chiamiamola più 'Parabola del figlio prodigo' ma 'del Padre misericordioso': il vero protagonista!
C'è il solito pericolo accostandoci a questa Parola: la conosciamo troppo bene, dunque la sottovalutiamo, non ci mette in discussione, non ci stupisce più. Come una canzone che abbiamo ascoltato mille volte, come le lasagne della mamma già mangiate mille volte, come un amico sempre a disposizione: non li desideriamo più! Questo è il nostro dramma.
Allora leggiamola con calma, più volte, cerchiamo quell’espressione, quell’immagine, gustiamo quel sentimento!
Al centro il padre con la sua sofferenza vedendo che i 2 figli non andavano d’accordo e sentendo quella richiesta che è come una condanna a morte per il padre stesso: 'Padre dammi la parte di patrimonio che mi spetta'. Poi il nulla, non un saluto da parte del figlio, non un grazie. Mi immagino la partenza come una fuga, sbattendo la porta, come chi si licenzia dal lavoro perché si trova male, o chi esce di galera: tagliare i ponti col passato: 'Non ne voglio più sapere di te' pensa il figlio. Il vero prodigo non è il figlio che spende e spande, ma il padre: prodigo di amore, di festa, di voglia di incontrare e riabbracciare quel figlio anche se è lontano, col corpo e col cuore.
'Bisognava far festa e rallegrarsi', dice al figlio maggiore: è l’urgenza di chi non sta più nella pelle, la gioia di chi ha una bella notizia dentro, come di chi aspetta un figlio e non sta più nella pelle, o un nuovo amore si affaccia nella vita: non stai nella pelle e ti si legge in faccia che è entrato qualcosa di meraviglioso nella tua vita!
Il figlio minore lo conosciamo bene, forse perché ci assomiglia tanto: vuole fuggire, non gli sta più bene quella vita, cerca nuove esperienze: e fin qui tutto bene; ma la nota stonata è che non si sforza di conoscere il cuore del padre, lo giudica un padrone, non un padre. Errore di gioventù? Forse, ma soprattutto sete di amore che aveva a portata di mano e non se ne è accorto! Curioso che quando è in quel paese lontano e ha consumato tutti i soldi, voleva mangiare le carrube dei maiali ma 'nessuno gliene dava'. Non poteva prendersele lui e mangiarle? Non aveva tanto bisogno delle ghiande, ma di qualcuno che si prendesse cura di lui!
Anche il figlio maggiore ci assomiglia ogni volta che puntiamo i piedi, o mettiamo giù il muso: ogni volta che tiriamo su qualche muro verso un fratello: 'Adesso che questo tuo figlio è tornato...' Non lo chiama 'mio fratello' ma 'tuo figlio'. Era nella vigna non come figlio, ma come operaio; non lo considerava un padre, ma un padrone, pronto a controllare se l’altro lavorava più o meno di lui piuttosto che a spendersi come il padre e a volere il bene della vigna. Assomiglia tanto a noi quando siamo bravi a guardare se l’altro fa il suo dovere anziché imitare il vero padre, Dio che da la vita del Figlio per la sua Chiesa , per noi suoi figli! Troppo rivolti alla terra, a guardarci in cagnesco, anziché contemplare l’abbraccio del Padre.
Si è convertito il figlio minore? In quale punto della parabola si converte? Non sappiamo se si è convertito: senz’altro torna a casa perché aveva fame, non perché si è convertito. Forse lo farà dopo: dopo che cosa? Dopo l’abbraccio del Padre, dopo quell’anello al dito, dopo il vestito nuovo, dopo la festa del padre. Solo dopo l’incontro con la Sua Parola, dopo aver ricevuto l’abbraccio che non meritiamo, dopo le lacrime di gioia del padre possiamo iniziare a convertirci: la via è tracciata.
O Signore, Dio nuovo. Non smetteremo mai di contemplare il tuo cuore di Padre. Spesso cerchiamo nuove emozioni, nuovi incontri, nuove avventure per sentirci protagonisti e apprezzati, invece non ci accorgiamo che solo in questa vigna incontriamo il tuo abbraccio di Padre, il tuo sguardo, il tuo perdono; abbiamo bisogno di un cuore in festa perché ti abbiamo incontrato, perché nella vigna della Chiesa ci hai chiamato, perché è bello gioire per la tua presenza, perché solo con te possiamo vivere la vita come una vera festa!
III Domenica di Quaresima - 23 marzo 2025
Lascialo!
Chi è Dio? E’ un roveto ardente, un fuoco che brucia ma non consuma; è un fuoco d’amore per noi che non rinuncia mai e ci prova sempre, come il contadino del Vangelo che dice al padrone 'Aspettiamo ancora un anno, vediamo, magari porterà frutto'.
Nel cammino dell’Esodo, questo Dio rivela il suo nome: "Io sono colui che sono", che esiste, colui che guarda la sofferenza del popolo e si ferma, viene nel nostro deserto e ci libera come ha liberato il popolo schiavo. L’essenziale è che Mosè si tolga i sandali, cioè che si fermi in contemplazione, che ascolti, che capisca che c’è qualcosa di sacro da non calpestare, da rispettare e da custodire: c’è la vita umana, c’è questo mondo da proteggere, c’è la nostra coscienza, c’è la sua Parola da accogliere: TOGLI i sandali, fermati e cerca non di stare zitto ma di restare in silenzio: solo nel silenzio incontri questo Dio.
Sembra che il Vangelo parli proprio di questo tempo, della storia dei nostri giorni: ancora guerra, strage, violenza e morte, suicidi di ragazzi vittime di un mondo sommerso che gioca con la vita e la morte, come l’episodio in cui diversi giudei morirono sotto la torre di Siloe o quello in cui Pilato aveva ucciso i galilei che avevano fatto un sacrificio; troppo facile e scontato dare la colpa a Dio. Ci vuole sempre qualcuno con cui prendersela. Più difficile, ma più saggio, prenderci le nostre responsabilità per le guerre, le violenze, l'indifferenza che mettiamo nei nostri rapporti, per le nostre costruzioni fatte dove un torrente può ingrossarsi provocando alluvioni, o ai piedi di vulcani o case che crollano per una leggera scossa di terremoto.
La domanda vera allora è: ma io faccio tesoro delle lezioni della vita? Cerco di convertirmi o penso di essere migliore di altri e non meritarmi punizioni divine? Dio non punisce, ma ama: lui mi cerca per invitarmi finalmente a portare frutto, a non essere sterile come il fico, ma a vivere la Quaresima e ogni occasione della vita come l’inizio di un tempo nuovo per lasciarmi trasformare e incontrare da lui. Mi invita a prendermi cura del creato, a prendermi cura di qualcuno che incontro sul mio cammino, a non sciupare e consumare, a cambiare mentalità. Qui sta la vera saggezza: non quante cose fai nella vita, ma come le fai!
La vera saggezza è quella del contadino del Vangelo (che è Gesù) che vuole aspettare per farci portare frutto, per provarci ancora perché il vero paziente è Dio; paziente perchè sa attendere, ma paziente anche perché è ammalato, sì, ammalato di amore per noi, perché sa che possiamo portare frutto e abbiamo bisogno di un po' di fiducia, di incoraggiamento, di qualcuno che ci dica: 'Ce la puoi fare, fidati: rialzati!'
La pazienza non è debolezza, ma l'arte di vivere l'incompiuto in noi e negli altri. Non ha in mano la scure, ma l'umile zappa. Per aiutarti ad andare oltre la corteccia, oltre il ruvido dell'argilla di cui sei fatto, cercare più in profondità, nella cella segreta del cuore, e vedrai, troverai frutto; Dio ha acceso una lucerna, vi ha seminato una manciata di luce. (Ermes Ronchi).
O Dio contadino saggio e paziente: sei tu il vero frutto dolce sull’albero della croce, frutto che ci nutre per il nostro cammino. Abbiamo bisogno della tua pazienza, del tuo dono, abbiamo bisogno di portare frutti di conversione e di bellezza per trasformare questo mondo e farlo diventare a tua immagine e somiglianza. Troppe volte abbiamo portato frutti marci, acerbi, frutti di morte non di vita: solo guardando a te e fidandoci della tua Parola possiamo ripartire e riaccendere la speranza in noi e nel cuore di chi è lontano da te.
II Domenica di Quaresima - 16 marzo 2025
Caccia al tesoro!
Troppo bello per essere vero, avranno pensato i 3, Pietro Giacomo e Giovanni; troppo bello! Restiamo qui, piantiamo la tenda, non roviniamo questo clima! Sul monte, solo noi con te Gesù, Mosè, Elia: non ci manca niente.
Mi viene in mente quando da bambino ci incontravamo a giocare d’estate con i miei amici nel giardino comunale: conoscevamo a memoria tutti gli alberi, i cespugli dove nascondersi meglio, i fiori, dove c’era l’erba più alta, il muschio per il presepe, le viole da portare a casa alla mamma, i rami adatti per costruire archi e frecce, le piante di nocciole e di prugne; e quell’angolo solo nostro, nascosto, protetto dove sognare di stare insieme, mangiare li, dormire li, essere uniti.
‘Facciamo 3 tende, non andiamo via’ dicono i 3. Giochiamo qui non andiamo via, dicevamo noi bambini!
Custodiamo nel cuore gli istanti, i frammenti, le immagini in cui abbiamo pensato questo e lo abbiamo detto a qualcuno: i primi amici, la prima cotta, il primo bacio, il primo sguardo che ci ha toccato il cuore, la prima preghiera giunta al cuore di Dio, le prime lacrime non perché eravamo caduti in bici, ma per una delusione profonda, le prime delusioni come quelle risate tra amici in una notte d’estate!
E’ la bellezza che Dio ha seminato nel mondo: la bellezza, la luce della trasfigurazione, il sorriso di Dio sull’umanità; qual è il lavoro principale di questo Dio? Farci giocare alla caccia al tesoro: farci trovare e scovare nel mondo i segni della sua bellezza! Li ha nascosti ovunque, in un sorriso, un abbraccio, una parola di conforto, in una carezza, in un 'sì', in un tramonto ad alta quota, in un bambino che nasce o un vecchio che ha bisogno di te, in chi lavora per salvare una vita, in chi soccorre e si prende cura di una sorella o fratello in difficoltà. Dio è il seminatore della sua bellezza nel mondo, quella bellezza che i 3 hanno visto e contemplato.
E il seminatore di bellezza li invita a scendere poi dal monte col volto trasfigurato per raccontare, portare a tutti la sua bellezza, a togliere il velo che impedisce di vederla, a innamorarci di chi incontriamo sulla nostra strada per dire a tutti che Dio è innamorato di loro. Per trasformare il male in bene, la bruttezza in bellezza, il buio in luce, la solitudine in intimità, il dolore in gioia: difficile e arduo pensando a questo mondo cosi sporco, come dicono molti! Ma affascinante molto più che stare a crogiolarci con i 3 o 4 amici che la pensano come te e che non ti mettono in crisi e che ti daranno sempre ragione. La bellezza richiede fatica, tagliare qualcosa, come il chicco di grano che marcisce per portare frutto, come una mamma che fatica per 9 mesi per dare alla luce suo figlio.
Siamo anche noi tra le doglie del parto per creare un mondo nuovo, di pace di speranza dove quella bellezza risplenderà senza fine, per sempre.
Le gioie, gli amori, la festa che viviamo qui è anticipo e promessa della gioia vera che sarà solo in Dio, alla fine: tutto ci parla di quella bellezza che sarà piena solo in lui.
Ogni volta che insieme celebriamo l’Eucarestia, ogni volta che spezziamo il pane e la Parola, è come se andassimo sul monte della Trasfigurazione per contemplare il suo volto di luce: e proprio lo splendore di quel volto, di quell’incontro noi vogliamo raccontare a chi non ha ancora incontrato Gesù Signore.
O Signore innamorato di noi nonostante il nostro buio, la nostra poca fede e la nostra fragilità: quando capiremo e ci renderemo conto che solo tu sei veramente bellezza e che hai seminato nel mondo le cose belle che viviamo. Portaci su qualche Tabor, portaci in alto con te per gioire già adesso di tutto quello che ci hai donato e per sentire la gioia del tuo abbraccio: proprio quello vogliamo seminare a piene mani nel mondo.
VIII settimana del T.O. - 2 marzo 2025
Togli!
Dopo le forti Beatitudini e dopo il 'porgi l’altra guancia', Gesù ci invita a seguirlo ancora sulla strada della Palestina e della nostra vita. Oggi ci dona delle piccole perle, preziose come non mai, che ci illuminano e rendono preziosa la nostra vita: cerca la tua guida che non sia cieca ma che ci veda bene, che sia il vero maestro, liberati dalla trave per aiutare tuo fratello a togliere la pagliuzza, porta frutti buoni di accoglienza e di perdono, e infine tira fuori il bene dal tesoro del tuo cuore.
Perle da tenerci al collo e nella vita in mezzo a tanta mediocrità e consigli da 4 soldi.
Tutti crediamo di non aver bisogno di maestri né di guide; la frase celebre è: "Io sono padrone di me stesso, decido io della mia vita." Invece, anche inconsciamente, seguiamo sempre qualcuno, qualche pensiero, fosse solo la maggioranza.
Qualche 'influencer' ce l’ abbiamo dentro, respiriamo la sua aria, ci affascina perché è bello, attraente simpatico, circondato da tanti seguaci e ci vuole un vento contrario e forte perché ci ispiri come dobbiamo comportarci. Ci vuole coraggio e decisione per seguire il vero maestro che va controcorrente e ci propone le Beatitudini come stile di vita; ricordi? "Beati voi poveri, beati voi che avete fame, beati voi che piangete…"
L’altra perla è sulla ipocrisia: "Togli la trave!" E qui un bell’esame di coscienza è bene che ce lo facciamo tutti, io per primo. Prima di assumere responsabilità, togli. Noi pensiamo ad aumentare e aggiungere: titoli, studio, impegni da assumere, riunioni, programmi e lui ci dice di togliere. Non per fare di meno ma per essere meglio: il principale ruolo e compito che hai non è quello di metterti nel ruolo di genitore, di dirigente, insegnante, prete, educatore, ma è quello di togliere ciò che ancora non va. Togli come Gesù ha tolto i vestiti per lavare i piedi ai suoi, togli come Pietro ha tolto gli abiti da pescatore per diventare pescatore di uomini, come san Francesco ha tolto gli abiti lussuosi per rinunciare al padre e vivere in povertà, come san Giovanni Bosco ha tolto il ruolo di insegnante in collegio di ragazze di buona famiglia per cercare i suoi ragazzi poveri, senza famiglia, senza amici! Passo impegnativo, ma liberatorio.
E tu che cosa vuoi togliere in Quaresima? Quale trave da occhi e dal cuore? Togli parole superflue, pensieri lontani dal Vangelo. Togli spese inutili. Togli tempo perso. Togli i giudizi affrettati e ipocriti. Ma soprattutto aggiungi più Parola di Dio, più silenzio, più ascolto degli altri e di te stessa/o?
Infine il tesoro del cuore, il tesoro che c’è nel tuo cuore, il tesoro che è il tuo cuore: se c’è Dio nel tuo cuore sai tirar fuori il bene, ma se non c’è lui, dal tuo cuore escono le cose peggiori. Quando un ragazzo si innamora di una ragazza, è capace di tirar fuori il meglio da sé e da lei: così fa Dio con noi, è capace di tirar fuori il meglio, il bene, sempre.
Abbiamo un'arma forte e potente per tirar fuori sempre il meglio: l’incontro con la Parola, la preghiera, il silenzio per non essere ipocriti e per riconoscere di essere ciechi e aver bisogno della guida di Gesù.
Il Vescovo predicatore degli esercizi spirituali ci diceva che andando a visitare alcune famiglie in una parrocchia incontrò un pastore con il gregge di pecore che gli disse: "Benvenuto collega! Siamo entrambi pastori: io di pecore, lei di persone"; e aggiunse: "Pecorai si nasce, pastori si diventa". Figli si nasce, genitori si diventa; bambini si nasce, educatori si diventa! Abbiamo bisogno di seguire il nostro maestro per diventare pastori, guide, testimoni docili nelle sue mani, capaci di tirar fuori il meglio dal cuore nostro e di tante sorelle e fratelli.
Buon Pastore, che vedi la trave nel mio occhio e attendi che sia io ad accorgermene per toglierla e seguirti con decisione; abbiamo bisogno di te perché il nostro cuore porti frutti di pace, misericordia e perdono. La Quaresima sia il tempo dell’ascolto per rinunciare a seguire guide cieche e sceglierti ancora come vero Maestro.
VII settimana del T.O. - 23 febbraio 2025
Quale gratitudine?
Se cercassimo il buon senso nel Vangelo, oggi è proprio la domenica in cui non lo troveremmo di certo. Non c’è buon senso nell’amare i nemici, nel perdonare senza misura, nel porgere l’altra guancia: non esiste qui ma nemmeno in tutti i Vangeli il buon senso che invece a noi piace tanto.
Dopo le Beatitudini di domenica scorsa che già ci hanno fatto volare rivelandoci la nostra lontananza dal cuore del Vangelo, oggi Gesù rincara la dose: "ama, sii misericordioso, perdona"! Punto. Il resto è tutto di più, il resto ingombra, il resto puzza come una persona che ti sfianca con mille parole inutili quando ne bastano 3, come un pranzo con troppe portate che alla fine non ti fanno gustare le più prelibate, come noi quando annacquiamo il Vangelo, lo trasformiamo e la fede diventa roba da museo o da frati e suore, o da catechismo dei bambini o da vescovi e preti.
Dimenticando che il modello è uno solo: il resto è di più, il resto puzza, il resto sono le nostre parole e le nostre paure che ci fanno dire: "Ma no, dobbiamo capire bene, poi il mondo è cambiato, poi Lui Gesù riusciva, certo era Dio! Ma noi? Come facciamo? E’ impossibile con tutto quello che accade nel mondo! La Chiesa, il papa dovrebbe..."
Troppi luoghi comuni anche tra noi cristiani, troppe cose scontate, troppe chiusure, troppo "Non tocca a me", troppo io e niente "noi". Troppo la Chiesa è ridotta a un ente benefico, assistenziale invece di essere considerata la sentinella che annuncia il mattino e invita a stare svegli in attesa del regno di Dio.
Ecco questo siamo noi, sempre i soliti, un po’ monotoni, spenti, o bisognosi di essere ri-accesi!
Invece possiamo, eccome, possiamo riaccenderci e accendere, possiamo portare nel mondo ciò di cui c’è più bisogno cioè il suo amore, possiamo vivere da risorti già ora, possiamo amare soprattutto qualche nemico, possiamo ragionare secondo il Vangelo e non secondo i nostri calcoli, possiamo e molti lo fanno già; basta liberarsi dalle nostre idee e lasciare che sia la sua Parola a permeare le mie scelte, le mie idee, la mia vita.
Martin Luther King così scriveva: "Ai nostri più accaniti oppositori noi diciamo: Fateci quello che volete e noi vi ameremo ancora, metteteci in prigione e noi vi ameremo ancora, lanciate bombe sulle nostre case e minacciate i nostri bambini e noi vi ameremo ancora".
C'è bisogno oggi più di un secolo fa, più di ieri di credenti nuovi che non cercano e non guardano i famosi miracoli di Gesù, ma diventano miracolo per qualche sorella o fratello che si è perso, diventano seme per l'inizio di un bosco nuovo, diventano seminatori di speranza, diventano capaci di seminare la misericordia di Dio nel mondo; riescono a farlo perché hanno toccato con mano la misericordia di Dio, il suo perdono, sono stati perdonati e hanno capito che l’unica vera arma che abbiamo a disposizione è quella della misericordia senza limite, come quella di Gesù. Il resto sono le nostre paure!
Ogni conversione, ogni rinascita, ogni nostro cambiamento parte dall’incontro con questa misericordia di Dio, non parte dalle nostre belle idee e principi. Il figlio prodigo torna a casa perché ha fame, non si dice che si è convertito. Se si convertirà, lo farà solo dopo l’abbraccio del Padre.
O Dio grande nella misericordia e nel perdono, oggi siamo beati, felici solo se perdoniamo 'di cuore', solo se siamo misericordiosi, solo se abbiamo desiderio di perdonare con gioia chi ci ha fatto del male: allora inizierà il mondo nuovo, il regno che Gesù è venuto a inaugurare; lasciamoci toccare il cuore e la testa da questo Dio meraviglioso che è venuto solo per regalarci il suo perdono e ci dice che per essere felici, l’unica via è amare come ha fatto lui. Senza misura!
VI settimana del T.O. - 16 febbraio 2025
Cosa ti perdi…
"Non ci sono più i mafiosi di una volta…" Così si lamentano alcuni boss che dal carcere davano gli ordini ai ‘picciotti’ che vengono meno ai sacri patti della mafia e alla prima soffiata si consegnavano alla polizia facendo i nomi dei capi. A volte anche noi ci lamentiamo del passato e rimpiangiamo qualcosa che non c’è più.
Gesù invece no: lui rilancia e ci invita a essere felici, beati oggi adesso, non ieri o domani, adesso!
Gesù va al cuore dei problemi, al cuore della vita: sei felice? Quanto sei felice? Da cosa dipende la tua felicità? Quanta fatica, quanti sforzi per essere felici, per far felice la nostra famiglia, quante aspettative, quante delusioni se svaniscono i sogni di felicità.
Sono parole forti quelle di Gesù, decise, a tratti difficili da capire: eppure ci rischiarano, ci rasserenano perché ci augurano la felicità, la pace dentro.
Anche se quel "beati voi poveri", quel "beati voi che avete fame", quel "beati voi che piangete" non ci suonano bene, sembrano incomprensibili, lontani, assurdi: Dio vuole farci soffrire? Gode se abbiamo fame, se siamo tristi, disperati, se piangiamo?
Matteo propone 8 beatitudini mentre Luca solo 4, però aggiunge i famosi "guai a voi"! Un modo diverso per farci riflettere, per proporci la sua via verso la felicità, per farci capire quali sono le fondamenta per una casa solida, per farci capire qual è la sorgente della nostra felicità.
Innanzitutto "beati" non vuol dire uno che è sempre sorridente, un po’ perso, con la testa fra le nuvole, fuori dal mondo: questo è il modo comune di pensare alla parola "beati". In Luca e Matteo vuol dire "alzarsi, mettersi in cammino, avanti"; vuol dire affrontare la vita in vista di un’altra vita, vuol dire vivere nel modo giusto oggi, orientati verso qualcosa d’altro, vuol dire sentirsi più leggeri nella nostra vita quotidiana, occupati, non preoccupati. Vuol dire che le ansie, l'odio, la violenza del mondo, non ci toccano, non entrano nel nostro cuore, perché siamo protetti dallo scudo della Parola di Dio, dal suo sguardo di Padre, dal suo dono in croce per noi. Anzi, chi è beato trasforma l'odio, l'egoismo in pace, in amore.
Beati poveri, affamati, tristi? Dio è felice di vederci così? Nel medioevo si usava il cilicio per soffrire ancora di più pensando che le sofferenze inflitte al corpo fossero il metodo migliore per ottenere il perdono e la grazia di Dio. Certo non è più così. Perché allora questo linguaggio forte, controcorrente, incomprensibile?
Gesù dice che sono felici i poveri gli affamati, i tristi perché Lui si prende cura di loro, perché Dio ha un occhio di riguardo per chi soffre, perché nel loro vuoto del cuore Dio può entrare portando la sua pienezza; beati i poveri perché non fondano la loro vita sui beni, sulle ricchezze, sul possesso. E tra i poveri Dio preferisce quelli che decidono di essere poveri, di togliere, di perdere: perché c’è anche il povero che vive comunque con avidità, con superbia, con egoismo.
Allora beato chi si fa povero di beni, di desideri morbosi, povero di esagerazioni, povero di troppe parole, povero di mettersi in mostra, povero di aver sempre ragione, povero di falsità ed egoismo. Ecco: più ti vuoti di queste cose più lui ti riempie di sé, della sua gioia, della sua felicità. Fai come i fiori a primavera che si vestono di colori sgargianti e profumano per attirare gli insetti: vestiti di povertà e umiltà e Dio verrà a casa tua .
Guai a voi, dice 4 volte Luca; non è una minaccia, una accusa, un mettere in guardia ma come dire "peccato", "cosa ti perdi": è un rimpianto. Ti perdi qualcosa, ti perdi la felicità piena se ti attacchi troppo alle cose, alle persone, al tuo lavoro, ai beni, se ti attacchi troppo alle tue idee ai tuoi valori: ti perdi una felicità che solo Lui ti può donare, ti perdi la semplicità di saperti accontentare, la dolcezza di un abbraccio delicato, ti perdi il gusto di rallegrarti il cuore, non solo lo stomaco, ti perdi.
O Dio vero povero, che ti sei fatto povero per fare ricco me. Donami il coraggio di privarmi di qualcosa nel corpo e nello spirito per far spazio alla tua presenza ed essere beato qui su questa terra. Solo tu sai riempire il vuoto infinito che c'è in me, solo tu rischiari il mio buio, solo tu sei vita piena nel fetore della morte, solo tu mi sai donare oggi stesso i tesori del tuo amore.
V settimana del T.O. - 9 febbraio 2025
Quando le reti sono vuote
Dopo l’annuncio della venuta del regno, dopo il Battesimo al Giordano, oggi entrano in scena gli apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni, quelli della Trasfigurazione. C'è un’altra trasfigurazione qui, un’altra luce che rischiara il buio del cuore. Entrano in scena durante il lavoro, nel momento più ovvio e normale, ma soprattutto dopo una notte di sudore, senza pesci, senza risultati, a mani vuote. Nessuno vuole le mani vuote, tutti cerchiamo i risultati, il prodotto, tutti desideriamo "portare a casa qualcosa" e se non ci riusciamo, andiamo in crisi. Ma proprio nel fallimento, quando tutto va storto, Gesù li cerca.
I 3 recuperano le reti col cuore triste: "Cosa darò da mangiare ai miei figli? E se anche domani non prendessi nulla? Mi sento un fallito."
Pietro ricorda benissimo questo incontro col maestro, il primo: ricorda gli sguardi, il primo stupore, ricorda quelle reti lasciate per trovare qualcosa d’altro: dobbiamo ritornare anche noi ai primi istanti, al primo bagliore di un incontro, di uno sguardo, al primo innamoramento, quando ci sembrava di volare. Pietro non dimentica, ci riporta all’inizio e ci invita a ricordare, cioè riportare nel cuore. Per vivere bene oggi, dobbiamo ritornare alle origini. Un rapporto in crisi, per migliorare deve ritornare agli albori, ai primi sogni e desideri.
Primo gesto: Gesù sale in barca e chiede di scostarsi da terra; lasciare la terra, lasciare sicurezze, abitudini, solite cose. Se ti allontani vedi le cose meglio, sei più sereno nel giudicare. Fin che sei nella nebbia non vedi chiaro: se ti innalzi qualche metro, c’è il sole! Pietro lo ospita nella barca, come noi lo ospitiamo nella vita: Dio a casa nostra, per fare di noi dei figli di Dio.
Secondo gesto: "prendi il largo". Prendi il largo Simone, per diventare pescatore di uomini devi prendere il largo. Per imparare a vivere devi prendere il largo, per fare il genitore, il figlio, il testimone, devi per prima cosa lasciare la terra e prendere il largo. E fidarti di una parola diversa, forte, nuova, inattesa: se vuoi rifiorire, portare frutti nuovi, se vuoi diventare pienamente te stesso, lascia le tue tranquillità e prendi il largo.
Terzo gesto: "Maestro, abbiamo faticato tutta la notte… ma sulla tua parola getterò le reti". Ad un certo punto della vita devi fidarti, devi partire, devi lasciarti andare: uscire da te stesso, partire, cercare. Diversamente le reti saranno sempre vuote e pescherai solo pesci anziché uomini: quante cose facciamo sulla sua parola e non sulla nostra? Quanto ci fidiamo, quante volte compiamo delle scelte contro la nostra testa ma solo fidandoci della Sua Parola? Siamo ancorati alla nostra riva tranquilla in attesa che qualche pesce ci passi sotto il naso oppure, come Pietro, ci fidiamo e prendiamo il largo?
Quarto gesto: lo stupore di Pietro è grande! Per le reti piene, certo, ma di più per quel Maestro che chiama, invita, cerca; un maestro strano, diverso, che affascina e scava dentro nel cuore come l’amo scava in bocca al pesce. Lo abbiamo perso lo stupore o come Pietro, come i bambini, siamo capaci di stupirci ancora, più di ieri? Stupirci per la bellezza che abbiamo sotto gli occhi, ogni istante, in ogni sguardo.
Quinto gesto: "…pescatore di uomini". Lui non ce la fa a lasciarti tranquillo nel tuo brodo, nelle tue acque stagnanti. Lui ti chiama al largo, dove l’acqua è limpida, dove il pesce abbonda: e poi ti invita ancora a pescare non più pesci ma anime, sorelle, amici, nemici, a toccare il cuore di chi si è perso, a riempire non più le reti ma la casa di Dio, il suo regno dove non ci sono più stranieri né ospiti ma solo suoi figli.
O Maestro nuovo, vieni sulla mia barca; se ci sei tu, tutto cambia. Non sempre le reti saranno piene ma il nostro cuore sì, sarà pieno di gioia perché mi insegni a gettare ancora le reti a prendere il largo, a fidarmi meno di me e più di te, a stupirmi ancora delle cose nuove che fai. E per invitarmi a diventare pescatore di uomini: il mestiere che solo tu conosci e che vuoi insegnare ad un pescatore fallito come me.
IV settimana del T.O. - 2 febbraio 2025
Presente!
Prevale questa festa sulla domenica come un bisogno, un desiderio di accogliere la luce di questo Dio bambino, nato nel solco della storia di un popolo ma per iniziare un cammino nuovo, una nuova famiglia dei figli di Dio.
Innanzitutto l’attesa di Simeone e Anna, 2 vecchi che nel tempio aspettavano la manifestazione del Messia: non sacerdoti e scribi, non le autorità religiose; sapevano che doveva arrivare il Messia, sapevano che sarebbe arrivato e dopo una vita lo accolgono tra le braccia e pregano: "Ora o Dio lasciaci morire in pace perché abbiamo visto la tua salvezza, abbiamo contemplato il figlio che tu ci hai donato. Noi siamo vecchi, ma siamo certi che tu non abbandoni il popolo ma ci riempi dei tuoi doni". C’è speranza nei loro occhi, c’è vita, non sono spenti, non attendono la morte ma la vita piena qui e nel regno di Dio.
Che cosa abbiamo visto noi? Che cosa attendiamo? Qual è la nostra speranza? Stiamo cercando qualcosa di nuovo o siamo tristi e depressi o perchè vorremmo qualcosa di nuovo che non arriva?
O forse non ci accorgiamo che questa novità e questa bellezza è già arrivata e noi non ce ne siamo accorti! Forse non ci rendiamo conto che il figlio di Dio è già tra le nostre mani, lo possiamo abbracciare. Abbiamo bisogno di uno sguardo nuovo, di parole nuove, di essere nuovi dentro per accogliere la novità della luce di Cristo.
Questa festa è chiamata anche festa delle luci, (candele: candelora): la luce vince le tenebre nonostante tutte le cose tristi che accadono nel mondo.
Maria e Giuseppe portano Gesù al tempio per ringraziare Dio del dono di un figlio, per purificazione rituale e per offrire un dono: tutta la tradizione viene rispettata anche se Gesù non è solo il bambino presentato dai genitori ma sarà lui a diventare il tempio da adorare per incontrare Dio vivo per noi. Tutto come prima ma tutto nuovo: abbiamo un Dio bellezza sempre antica e sempre nuova che squarcia i cieli, ci dona suo figlio luce delle genti.
"E' qui per la resurrezione di molti in Israele": non è qui per condannare ma per farti risorgere, è qui per perdonare i tuoi peccati, tutti, è qui per donarsi non per prendere, è qui per te, come la mamma attende la nascita di suo figlio, come un ragazzo attende la sua ragazza all’uscita di scuola, come attendi il sorriso di un amico che hai offeso e non ti guarda più, come attendi un nuovo lavoro e sei al lastrico, come attendi quell’esame in ospedale sperando che "vada tutto bene": è lui che ci attende in ansia mentre noi gli giriamo le spalle!
Noi facciamo fatica a cogliere tutta la novità di questo messia venuto non a vendicare tutti i peccati commessi ma a proclamare un tempo nuovo, una storia nuova, un perdono nuovo: non più Dio nella liturgia del tempio dove sacerdoti e dottori della legge celebravano un culto astratto ma Dio con noi , Dio nel mondo, Dio luce per ogni buio, Dio bambino da farsi mangiare, a disposizione della nostra fame.
Ma Simeone profetizza la spada che trafiggerà Maria quando vedrà il figlio in croce: anticipo di tutti i dolori dell’umanità provocati non da un Dio crudele ma da una umanità che non ha capito che la vita non è una corsa a ostacoli il cui obiettivo è superare gli avversari ma una festa perché siamo salvati da un Dio padre.
Poi il ritorno a casa, in famiglia perché li si vive, si litiga, ci si perdona, si impara ad amare: Dio ha mandato suo figlio in una famiglia per imparare a diventare Dio. Perché la famiglia è tempio, è sacra, è la scintilla dell’amore di Dio nel mondo.
O Dio presentato al tempio, cioè presente, presente quando c’è un dolore, un lutto, una catastrofe, quando il nostro cuore è pieno di angoscia e sanguinante, tu dalla croce ci salvi ancora, sei presente, non ti neghi, presente nella mangiatoia a Betlemme, nella sinagoga a proclamare un tempo di grazia, presente al tempio oggi, presente in fila con i peccatori, presente nell’ultima cena e per diventare vero pane, presente in croce; di fonte a tutte le nostre assenze, tu sei il presente oggi e sempre.
III settimana del T.O. - 26 gennaio 2025
Ricerche accurate
Domenica della Parola di Dio, quella che ascoltiamo spesso, che ci risuona dentro, che ci ridona speranza: meditiamola, accogliamola, e ci ricompenserà.
Al ritorno dall’esilio babilonese sembrava che tutto dovesse ricominciare: il tempio, la legge, il popolo in preghiera. Invece no. Allora il sacerdote Esdra convoca tutto il popolo, mette al centro la Torah, gli scribi la leggono e proclama: "Questo giorno è consacrato al Signore: non fate lutto e non piangete". Il popolo riparte dalla Parola al centro della vita.
Anche Luca nel Vangelo mette al centro la Parola ed esordisce dicendo di aver fatto "ricerche accurate" e di scriverne un "racconto ordinato": l’ha scritto per un certo Teofilo, amante di Dio; ha scritto per ogni amante di Dio, per noi ogni volta che siamo gli amanti di Dio e lo seguiamo. Non si accontenta di qualche notizia, qualche voce su Gesù ma si informa, cerca, ascolta, si da da fare: infatti anche noi quando conosciamo una persona ci informiamo, chiediamo chi è, da dove viene, cosa fa nella vita, chi frequenta.
Lunedì scorso era il giorno più triste dell’anno, indetto non so da chi! E’ triste che qualcuno dica: quel giorno è triste! Per il cristiano non esiste il giorno più triste: un giorno diventa triste quando noi lo rendiamo triste e non c’è un sorriso, una gioia. Quando non siamo gli amanti di Dio oggi.
Allora Luca scrive proprio per noi questo resoconto ordinato, per rendere felice ogni giorno, ogni momento!
Su cosa si fonda la mia fede? Sto cercando anch‘io il volto vero di Gesù, le sue parole nuove o faccio finta di niente, o mi accontento del minimo sindacale: se cerco un ristorante o un posto nuovo per la vacanza o un nuovo lavoro mi sbatto giorno e notte, cerco su Internet, chiedo ad amici, a qualcuno del mestiere. Ma per la mia fede, per la fede di mio figlio, per imparare a essere credente, per diventare "amante di Dio" che cosa faccio? Per non accontentarmi di quel libro, quel catechista , quel prete, quella parrocchia, quel gruppo: io cerco, io mi muovo, io parto, io mi innamoro?
Gesù entra come al solito di sabato nella sinagoga e legge Isaia: "Lo Spirito del Signore è su di me". Tutti lo osservano chissà con quali commenti e annuncia un tempo nuovo, uno stile nuovo, annuncia sempre il Dio del primo testamento ma con parole nuove. Annuncia un giubileo, il tempo della rinascita, del perdono ai peccatori, la liberta per i prigionieri, un anno di grazia.
Gesù è venuto per regalarci una occasione nuova, un perdono nuovo, è venuto per donare e donarsi non per prendere: questa è la bella notizia annunciata da Luca.
Ma al solito Gesù scompagina il rituale, infatti cambia la lettura del giorno e cerca un brano specifico di Isaia, quello che abbiamo letto in cui si annuncia il tempo della salvezza.
Poi fa un altro cambiamento: non legge un altro versetto di Isaia che di solito tutti leggevano: "un giorno di vendetta del Signore". Legge solo: "portare il lieto annuncio ai poveri, proclamare la liberazione ai prigionieri, ai ciechi la vista, a rimettere in libertà gli oppressi." Tutti nella sinagoga pensavano a un Messia venuto a vendicare il male e il peccato e a eliminare i peccatori, e invece questo Messia li perdona, li accoglie, li ama.
Inizia già qui Gesù a firmare la propria condanna; un Messia scomodo che avrà molti nemici soprattutto nella sinagoga, nel tempio, tra i maestri della legge.
Ma lui annuncia questa salvezza, questa nuova era, questa salvezza gratuita: Dio viene per renderti felice, per donarti il vino nuovo di Cana, per stare accanto ai peccatori e agli ultimi, per annunciare un tempo di grazia.
O Signore, Dio dell’oggi; tu non rimandi la nostra salvezza ma ce la doni sempre. Insegnaci a cercarti, a cercare il tuo volto, a credere che sei venuto per inaugurare un tempo nuovo, un mondo nuovo, una gioia grande, un perdono inatteso e insperato; il tempo in cui Dio si fa vicino, accanto, dentro la vita per far fiorire il nostro vecchio mondo e donarci la forza di vivere da figli della luce. La tua Parola sia all’inizio di ogni nostra decisione e cammino.
II settimana del T.O. - 19 gennaio 2025
Tregua!
Finalmente tregua a Gaza. Durerà? Sarà autentica o c’è sotto qualche solito interesse di parte? Convenienza o conversione? Strategie o opportunità? Intanto godiamoci gli abbracci di chi è tornato a casa e preghiamo perché sia l’inizio di un tempo nuovo.
Anche a Cana c’è una tregua: Dio ha deciso di sposare l’umanità, l’Eterno ha abbracciato il mortale, il cielo è sceso in terra. Per farci capire che non basta più l’acqua dei nostri bellissimi propositi e impegni, non bastano più le nostre belle iniziative di tregua: ci vuole la pace dentro nel cuore. E per far questo, Dio ci dona il vino nuovo, non un nuovo codice di leggi ma una nuova festa, una nuova gioia, una pace che nessun re o imperatore sa donare!
E’ finito il tempo in cui l’umanità deve accontentarsi dell’acqua della nostra natura fragile e scontata, è finito il tempo del minimo sindacale o del rimpianti dei tempi passati: lui fa cose nuove purché ci fidiamo e ci lasciamo guidare dallo Spirito; allora inizia il tempo del vino forte inebriante, deciso come l’amore e come una meravigliosa festa di nozze.
Nelle nostre feste, come nella vita, rischia di entrare la monotonia, la noia, il rischio del fallimento come in una amicizia un po’ logora, come in una comunità senza gioia, come in un matrimonio spento: solo il suo vino nuovo, la sua vita nuova ci permette di riprendere la festa come prima anzi meglio di prima.
Ti sei mai chiesto perché nel Vangelo il regno di Dio sia sempre paragonato a un banchetto, una festa di nozze, un matrimonio e mai a un funerale, un lamento funebre, un digiuno? Noi abbiamo fatto diventare la nostra fede come un funerale, ma in Dio non è così: lui ci vuole felici, pieni di gioia, ci vuole col sorriso in volto, ci vuole salvati. Il regno è una grande festa di nozze, non l’hai ancora capito? Lascia le tue festicciole private con l’acqua della nostra natura umana e chiedi a Gesù il vino nuovo delle nozze eterne.
Eppure serve anche l’acqua delle 6 giare: serve anche l’acqua della nostra natura; Dio ci chiede di mettere a disposizione tutta la nostra acqua cioè le nostre vite, le nostre mani, l’intelligenza, la nostra volontà, tutte le nostre risorse: il resto lo fa lui, alla grande. Come il ragazzo che ha messo a disposizione degli apostoli i pani e i pesci: lui ci ha messo tutto l’umano possibile, il resto lo ha fatto Dio. Mettiamoci tutto il nostro lavoro, il nostro impegno, i nostri desideri: poi Lui compie i suoi prodigi, o meglio, i segni come li chiama Giovanni.
Sei giare di pietra: 6, il numero della incompletezza, come il giorno in cui l’uomo è creato. Non 7 numero della completezza: solo Dio è completo, a noi manca lui, il suo vino, la sua gioia.
E’ la prima volta in cui Maria è presente nel vangelo di Giovanni: la seconda volta sarà sotto la croce. Allora questo brano è fondamentale, è l’inizio dei segni, è l’inizio di un tempo nuovo, l’inizio del vino nuovo della nuova alleanza sancita non con il sangue di un agnello, ma di Cristo vero agnello di Dio; il tempo non più dei dogmi stabiliti dai Comandamenti, ma della legge nuova delle Beatitudini; il tempo di una tregua foriera di pace.
O Maria, donna, discepola, serva: tu per prima ti sei accorta che era finito il vino come ti accorgi che a volte finisce la nostra gioia, la festa, quella vera. Continua a supplicare tuo figlio perché inizi per noi il tempo dei sorrisi, dei canti, delle danze, della tregua dal male e dal peccato. Abbiamo bisogno della tua supplica, abbiamo bisogno di quel vino nuovo, abbiamo bisogno di entrare nel settimo giorno, abbiamo bisogno di essere liberati dalla schiavitù del peccato per correre liberi verso altre sorelle e fratelli. Abbiamo bisogno di sentirci parte di un solo banchetto, un solo popolo, una sola famiglia al banchetto di nozze del tuo figlio con noi, umanità ferita ma redenta non dal vino di Cana ma dal sangue del figlio di Dio.
Battesimo del Signore - 12 gennaio 2025
Imbarazzante!
Già messo via presepe e albero? Anche i magi? E la cometa? Eh no, dovremmo tenerli fuori ancora. Almeno non dovremmo archiviare subito il Natale, ma ricordare e tener vivo lo stupore di Maria, la gioia dei pastori che annunciano, la luce della stella cometa, i magi così lontani e così vicini!
Gesù non archivia, ma mantiene vivo il ricordo, i gesti di Giuseppe e Maria: 30 anni (Chi lo sa se erano proprio 30) in famiglia non sono paglia. Avrà anche litigato con i genitori, avrà pianto, avrà fatto tutti i compiti? Ragazzo modello? Eppure continua ciò che ha imparato a Nazareth .
O meglio, lo Spirito Santo continua, gli parla, lo manda nel deserto in preghiera, in fila con i peccatori per annunciare loro un tempo nuovo, una vita nuova, un nuovo inizio, un GIUBILEO in cui Gesù stesso ci invita a giubilare e far festa perché Dio è dalla nostra parte, ci ama, si prende cura di noi, è venuto pe r noi, per dirci che Dio è Padre, non padrone.
Altro episodio imbarazzante per i primi cristiani, dopo quello dei pastori e dei magi: cosa ci fa il Messia, il Figlio di Dio in mezzo al peccato dell’uomo? Lui dovrebbe cancellare ogni peccato e premiare i buoni anziché correre dietro ai cattivi! Fin dall’inizio non è stato capito Gesù. Quanti 'dovrebbe dire, dovrebbe fare, dovrebbe andare' gli hanno detto allora e quanti ne diciamo noi oggi pretendendo di insegnare tutto agli altri tranne che a noi stessi. Ma scribi e farisei dovranno rassegnarsi perché di scandali di questo tipo ne darà altri il Signore.
Lui è venuto per essere pellegrino di speranza (tema del Giubileo) ed è ciò che vogliamo essere ogni giorno anche noi.
C'è una differenza fondamentale tra Giovanni Battista e Gesù, tra il battesimo di Giovanni e quello di Gesù: Giovanni chiede penitenza e conversione, Gesù non chiede niente. E’ lui il servo, è lui altare e vittima, è lui che sceglierà la croce, è lui che 'farà la Pasqua', ben consapevole che noi, come Pietro, rischiamo di non esserci nel momento decisivo. E’ lui che decide di essere fedele alla sua promessa, quella di salvare tutti e non perdere nessuno.
Ecco perché il primo gesto pubblico che Gesù compie è quello di essere in fila con i peccatori per annunciare loro la salvezza: seguiranno altri 'segni' di questo Dio uomo, nuovo Messia che annuncia ai popoli la misericordia del Padre.
E’ lo Spirito che parla e agisce con Gesù e agisce in noi per farci capire quanto Dio sia vicino a noi sempre, anche quando noi non siamo vicini a lui: il Battesimo di Giovanni è solo con acqua, quello di Gesù è in Spirito e fuoco. In Spirito perché impariamo ad ascoltarlo questo Spirito, soprattutto quando pensiamo di cavarcela da soli; nel fuoco perché ci infiammi dello stesso amore di Dio per gli uomini.
Infine la voce annuncia che Gesù è il figlio, l’amato in cui pone il compiacimento; siamo anche noi quei figli amati, non per i nostri meriti ma amati per essere accesi e accendere sorelle e fratelli che si sono spenti durante la vita.
Benvenuto Signore nel mondo a Natale, ma soprattutto in questa festa del tuo Battesimo; benvenuto, nato e rinato per mostrarci il volto di Dio. 'Consolate, consolate il mio popolo' dice Isaia nella prima lettura; lui è venuto a consolare. Chiediamo anche noi di consolare chi è lontano, solo, perso, chi, ammalato nel cuore, non riesce a vedere Dio sempre all’opera soprattutto dove c’è solo peccato e morte. Lui è sempre pronto a far rifiorire il nostro Battesimo e a insegnarci a seguire il soffio dello Spirito.